O come mai questo blog??

Dal 2011 mi sono dato all'escursionismo, un modo alla fin fine più semplice e diretto per stare a contatto con la natura. Del resto, come potete vedere qui a fianco, già da piccolo ero un in-tenditore in materia..eheh. Certo, c'è (o c'era, visto che ormai da più di un anno non la pratico più..) anche la pesca, come per qualcun altro può esserci la caccia, o la raccolta funghi ecc., ma quasi tutte in comune hanno secondo me un grosso limite: il fatto di considerare la natura come un "veicolo" per il raggiungimento di un certo grado di soddisfazione, e non essa stessa il fine. In un certo senso, è come se debba esserci sempre un profitto finale. Le escursioni invece non sono nient'altro che il sano desiderio di passare un po' di tempo immersi nella nostra natura, osservarla, e basta.

venerdì 10 agosto 2012

[Come è andata??] A.V.M. - 4a Tappa [27/07/2012]


La seconda notte al rifugio Larcher è passata abbastanza bene (e ti credo, con la giornata di ieri..), magari sarà anche che comincio un po’ ad abituarmi a dormire ad altitudini più elevate rispetto al solito, mescolata con un po’ di stanchezza che comincia pian piano a fare capolino. Per sicurezza stanotte ho messo su anche i tappi auricolari alle orecchie, non si sa mai, se magari qualcuno dei miei compagni di camerata fiorentini avesse il vizio di russare.. Mi sveglio con la suoneria da loro settata per le 5.30, sarebbe inutile provare a dormire ancora. Qualcuno di loro non ha dormito troppo bene, spero siano in forma, perché, affacciandomi dalla finestra, un bellissimo Cevedale infuocato dai primi raggi di sole, li sta aspettando alla prova.










h5.56, le Cime Cevedale sembrano infuocate con i primi raggi di sole..

Non ho fretta di partire, quindi con calma, prima di scendere per la colazione, riordino lo zaino e lo preparo per la ripartenza. Una sensazione strana comincia a impadronirsi di me..un certo senso di disagio, di malinconia, mentre richiudo le mie cose nello zaino, affiora..è strano, non è successa la stessa cosa due giorni fa quando ho lasciato il Doss dei Gembri, allora ero invece entusiasta di rimettermi in marcia per raggiungere le valli già visitate dieci anni prima, di rivedere, o meglio, di vedere per la prima volta, con altri occhi, il Cevedale. Invece adesso, so bene che mi aspetta un’altra bellissima tappa, dove toccherò il Lago Careser, dove per la prima volta mi troverò faccia a faccia da solo con un ghiacciaio, dove riscenderò in un’altra bellissima valle, la Val di Saènt, immersa nel verde. Tuttavia questa sensazione nostalgica è più forte di me, e mi terrà impegnato a metabolizzarla almeno qualche ora. Insomma, lasciare il rifugio Cevedale, che per due giorni è stata la mia casa, dove si sono susseguite in due bellissime giornate avventure da ricordare per sempre, dove ho fatto conoscenza e intrecciato amicizie con un sacco di nuove persone..ecco..mi dispiace. Ma era previsto. Fa parte di tutte le cose.










h.7.20, MagoZichele saluta il Rifugio Larcher e un'assonnata marmotta

Scendo per la solita abbondante colazione. Di sotto trovo Manuel, gli altri già salutati ieri sera. In un altro tavolo, dopo un po’, arriva la coppia marito e moglie tedeschi, che a quanto ho capito dovrebbero fare il mio stesso itinerario. Salgo di nuovo di sopra per prendere lo zaino e saluto nel frattempo i quattro amici fiorentini, anche con loro la promessa di una visita al blog, se mai ricorderanno la parola “MagoZichele”. Spero di sì, con loro ieri sera mi sono divertito. E poi fa sempre piacere quando questa mia idea, questo sogno che coltivavo da un anno, venga ben accettato ed elogiato dalle persone che via via ho incontrato finora. Ok, sono pronto, alle 7.20 saluto Manuel e lo ringrazio di tutto, e lascio il rifugio.

Il sentiero 123 verso il Careser
Fino al bivio per il Lago Marmotta salgo bene (ormai l’ho imparato bene questo tratto ehehe..), e mi fermo per imprimere bene nella mente l’immagine della catena di monti che per due giorni ho ammirato, così vicino non li rivedrò più nemmeno nei giorni a seguire. Sono bellissimi, illuminati dal sole del primo mattino e con il cielo sgombro dalle nuvole. Abbasso lo sguardo fino al solitario rifugio Larcher..ancora quella dannata sensazione..meglio proseguire. Con passo tranquillo procedo sul sentiero 104, che poi diventa 123, fino a passare nel punto dove il Sig.Dario si era sentito male. Ripercorro quindi con la mente i concitati movimenti del giorno prima, chissà come starà Dario? Troppo presto ancora per saperlo..

Mentre proseguo sul sentiero 123, pianeggiante e piacevole, le marmotte si devono essere messe d’accordo per salutare il Mago..ogni tanto ne parte una a nascondersi, oppure sarà che sono così abituato a vederle che come sento un fischio le metto subito a fuoco, fatto sta’ che in metà mattinata ne vedrò almeno 5 o 6. Unica nota fastidiosa di questa mattinata tranquilla e silenziosa, qualche fitta muscolare che ogni tanto arriva dal polpaccio destro; speriamo non aumenti, che palle..Arrivo in prossimità del Lago Nero, un bel laghetto nei pressi del ben più grande Lago Careser, e in corrispondenza di un muretto in cemento che per un breve tratto costeggia il sentiero, scopro una zona dove il segnale del cellulare è abbastanza potente. La giornata è lunga, il meteo ha messo buono, sono ancora le 8.15, perché partire in quarta verso la Vedretta del Careser? Mi fermo su questo muretto per un bel po’, fra sms e invio foto ho un bel daffare. Passa di lì, in direzione del rifugio Larcher, anche un ragazzo che per oggi si è preso una giornata libera dalle vacanze familiari, per una piccola sgambata prima del ritorno a casa di domani. Nel frattempo, altre foto alle marmotte e, adesso che ce l’ho proprio davanti e bello nitido, alla cima del Vioz e al rifugio Mantova.










Panoramica su Lago Lungo e Cevedale, e ancora una marmotta intenta a urlarmi l'altolà!!

Quando mi decido a ripartire, sono quasi le 9.00! Passo intorno al Lago Nero, dalle acque verdi e limpidissime, e sono subito in vista del Lago e della Diga del Careser. Un’enorme catino azzurro appollaiato a 2600mt di altitudine. L’acqua comunque deve essere calata di molto, perché una vistosa lingua rocciosa fa da contorno a tutto lo specchio azzurro. Di fronte a me un ponticino in metallo che supera un piccolo ruscello che scende nel lago. Sulla struttura in metallo del ponte, una verniciatura inequivocabilmente gialla. So per certo, infatti, come già letto sull’ottimo sito internet del rifugio Dorigoni, e come tra l’altro mi è stato confermato sia da Manuel, sia dai fiorentini (che lo hanno percorso anche loro due giorni fa, ma in senso opposto al mio), che il nuovo tracciato del sentiero n.104, resosi necessario vista la difficile praticabilità (crepacci affioranti a seguito del ritiro dei ghiacci) del vecchio sentiero che attraversava di taglio la Vedretta del Careser, è provvisoriamente segnato tramite dei cerchi gialli.










Dal Lago Nero, zoomata sul Rifugio Mantova e sul Monte Vioz 

Sì ma..la traccia gps del nuovo tracciato (anch’essa disponibile sul sito del rif. Dorigoni) mi indica di deviare bruscamente verso sinistra, dove non vedo sentieri, ma solo una piccola gola erbosa che sale per circa 20 metri portandosi sul versante nord del lago. Forse devo solo proseguire per poco. Oltrepasso il ponticino, provo a scendere per pochi metri, ma niente da fare, il gps dice che sto andando in un’altra direzione. Allora dovrò scendere fino alle sponde del lago per poi costeggiarlo? Ok, taglio attraversando il ruscelletto che pochi metri prima ho superato passando sul ponticino, e mi dirigo in basso verso il lago..macché..la traccia gps non lascia più spazio a interpretazioni, devo risalire fino all’imbocco di quella stretta gola! Risalgo passando direttamente sul greppo e..dannazione! Ecco il cerchio giallo verniciato perfettamente su un sasso, ma visibile solo da una distanza ravvicinata. Allora devo salire di qui. Però, il fatto che i cerchi non siano visibili istantaneamente, e il fatto che il sentiero, essendo nuovo e non ancora ufficialmente accatastato dalla S.A.T., praticamente non c’è, e si intravede solo qualche breve traccia di passaggio di altre persone, mi fa pensare che dovrò stare ben attento a non andare fuori pista, ed anzi controllare spesso la coerenza del mio percorso con quello del gps.










Il delizioso Lago Nero, e l'inizio del nuovo sentiero 104 seguendo i piccoli bolli gialli

Risalito il breve dislivello che mi porta a superare questa piccola gola erbosa, trovo delle conferme in quello che sospettavo. Normalmente i sentieri ben battuti li si seguono ad occhio anche per lunghe distanze, qui invece non vedo nulla di distinto all’infuori di un altro piccolo cerchio giallo una ventina di metri più avanti. Il sentiero è dunque questo, fatto di piccoli e ripidi pendii, di tratti in discesa, di passaggi su grosse rocce, dove ogni tanto seguire questi piccoli cerchi. Non c’è una vero e proprio sentiero da seguire istintivamente. Però è bello, e la sua bellezza è accentuata proprio da questa sua particolarità dell’esser poco trafficato. Pian piano, comincio a lasciarmi alle spalle il Lago Careser e mi trovo a costeggiare, in un bellissimo pianoro erboso, il letto del torrente che, formandosi dalla vedretta, scorre veloce per immettersi nel lago. Ogni tanto su qualche grosso masso, il familiare cerchio giallo, qui adesso è molto più intuitivo seguire la via, perché non ci sono cambi di conformazione del sentiero, non più erba intervallata improvvisamente a rocce dove bisogna scovare il prossimo tranquillizzante cerchio giallo. Sto per immettermi in una piccola valle racchiusa dal alte creste rocciose, anticamera della Vedretta del Careser. L’ingresso in questa gola ha il sapore di una porta leggermente socchiusa, da dove puoi trovare lo spiraglio per entrare, ma senza poter vedere cosa c’è all’interno..il massimo dell’avventura!!

Il Lago Careser
M fermo un paio di volte, sul letto del torrente e in mezzo a questa “portico d’ingresso” verso la vedretta del Careser, per qualche foto e video, poi comincio a proteggermi con le creme visto che il sole in mezzo a queste pietre comincia a far rimbalzare i propri torridi fendenti, infine mi incammino di nuovo lungo la traccia segnata ancora dai bolli gialli, nella direzione di risalita di un cuneo roccioso che è la vera porta d’ingresso al catino ghiacciato della vedretta. Da quaggiù ancora non posso vedere nulla, ma la trepidazione aumenta. Pian piano aumenta la pendenza, aumenta l’impegno richiesto, sento che un po’ di stanchezza comincia a reclamare il proprio posto nel contesto generale di questa settimana, tuttavia almeno quelle piccole fitte al polpaccio adesso sono passate, quindi massima decisione, passo sicuro e metro dopo metro guadagnarsi la salita.










Costeggiando il Lago Careser lungo il nuovo sentiero..

Arrivo sopra al tondeggiante cuneo roccioso, prima di arrivarci alcuni salti da affrontare per superare alcune rocce, ed eccola, comincio  a intravedere la vedretta, o almeno la sua parte terminale dove il ghiaccio si fonde pian piano in un letto di detriti più o meno fangosi da dove prende forma il torrente che già da qui parte impetuoso. Arrivo in vista del famoso ponte veneziano al contrario (così mi era stato descritto dai fiorentini), nel senso che le longherine di ferro sulle quali sono inchiodate le traversine di legno, essendosi imbarcate, danno al ponte una strana forma..però regge, eccome se regge. Superato questo torrente passando sul ponte, i cerchi gialli finiscono, e cominciano delle sporadiche strisce rosse. I passaggi adesso si susseguono passando in mezzo a canaloni di detriti intervallati da sassi di diverse taglie, meglio quasi passare su questi sassi, perché sui canaloni a volte il fondo comincia ad essere infidamente melmoso. Sento un po’ di difficoltà ora, mi accorgo tutto insieme di essere a quasi 3000mt, e con lo zaino da 15kg, saltellare qua e la diventa più faticoso.


Continuo comunque a seguire fedelmente le strisce rosse, senza controllare più di tanto la traccia gps. Ad un certo punto ho l’impressione, come mi è già capitato più volte stamattina, che non ci sia più nessun segno a guidarmi. Basta guardarsi per bene intorno e, intuitivamente, il segno successivo appare alla vista, così è già successo sia con i bolli gialli, sia con queste strisce rosse. Attimi di indecisione, la pausa d’avvistamento si sta prolungando più del solito..dove vado?..Ecco, sono nel “Nowhere”, penso per un attimo, nell’attesa fiduciosa che i miei sensi si diano una mossa a farmi riprendere il cammino. Ah, già..ma ho il gps! Che scemo, abituato ormai quasi sempre a seguire sentieri battuti o ben segnati, non l’avevo consultato da un po’. Vediamo..vedo la mia posizione, la linea di tragitto da me percorsa finora..ma quella teorica che dovrei seguire, dov’è??..Avanti, dannato Keymaze, sbrigati ad aggiornare la grafica!!.....Ma…..ho lo zoom impostato a 50mt….vuoi vedere che….Dannazione! Ecco perche non vedevo la traccia da seguire, perche sono fuori pista! Con lo zoom a 50mt la traccia che avrei dovuto seguire non si vede già più!! Avrei dovuto svoltare verso destra già da un po’, invece mi sono infilato in questo canale di sassi e detriti seguendo queste strisce rosse che sono tutt’altro che utili, a questo punto. E come se non bastasse, ho anche la batteria del gps quasi scarica! Ma che conti avevo fatto ieri sera? Sono le 10.30 e non sono nemmeno all’inizio della vedretta!










Dietro il Mago, in alto, la porta d'ingresso della vedretta, a destra, la porta è aperta!!

L’unica cosa che mi viene da pensare, è che il nuovo sentiero, o almeno quello che si trova sul sito del rifugio, sia stato nuovamente aggiornato, fatto sta che queste strisce rosse in ogni caso finiscono senza dare più ulteriori indicazioni. Certo, in linea di massima so dove devo andare, ma insomma, saperlo per certo, visto che sono da solo e con il gps in riserva, sarebbe la miglior cosa. Seguendo fedelmente le indicazioni del Keymaze, cerco di riportarmi in linea con la traccia da seguire, mentre sopra la vedretta passa un elicottero..aspettate almeno ancora un po’, è ancora troppo presto per venirmi a cercare!! Mi tocca tribolare per pochi minuti in mezzo a grossi massi intervallati da macchie di neve, prima di ribeccare il piccolo strappo in salita che, già ad una prima occhiata, mi fa capire di essere di nuovo sulla strada giusta: infatti, in alto di fronte a me, ecco il palo d’alluminio che, a ripensarci, mi era stato appunto descritto sia da Manuel che dagli amici di Firenze.










A sinistra: lo strano ponte veneziano al contrario. A destra: ci siamo...

Comunque, questo punto, raggiunto un po’ faticosamente per la breve deviazione fuori pista, rappresenta anche un punto di non ritorno; dopo di qui finisce qualunque tipo di segnale, e ciò significa solo una cosa: davanti a me, c’è la Vedretta del Careser! Che emozione, ragazzi, è la prima volta che mi ritrovo faccia a faccia in uno scenario simile, un immenso catino bianco a perdi vista, un deserto di ghiaccio silenzioso e austero che si protende in alto (almeno nel tratto iniziale) fino a cambiarsi il testimone dell’orizzonte con il bianco delle nuvole miste all’azzurro del cielo. Ok, a livello alpinistico è come parlare di una passeggiata domenicale in pineta per smaltire il pranzo, ma per me, che ho aspettato questo momento per mesi e mesi, è davvero emozionante. E poi sono da solo, il che rende il tutto più magico e intimo.

Basta sognare, c’è una vedretta da affrontare! Dopo il palo di alluminio ce ne sarebbe un’altro in legno, più grande, ma penso serva solo a indicare l’inizio della vedretta. Non mi dirigo quindi verso questo palo ma mi avvicino al’inizio della massa ghiacciata e, inconsciamente, mi accorgo che sto deviando per la tangente, quasi a voler scovare il punto in cui potrò spingermi più in la possibile senza incontrare sulla strada il ghiaccio..ma cosa sto facendo??.. Qui c’è poco da sindacare, anche il gps parla chiaro, devo andare a dritta e infilarmi nel ghiacciaio. Faccio qualche esitazione davanti alla crosta ghiacciata che delimita marcatamente, senza contorni confusi, l’inizio della vedretta. Non so dove mettere i piedi, e badate che questa è davvero buffa, in un attimo mi viene in mente il mio bimbo la prima volta davanti il mare, quando aveva timore ad entrare con i piedi nell’acqua. Anch’io in pratica sto facendo la stessa cosa, solo che invece del mare, è ghiaccio. Finisco anche per affondare con gli scarponi in un bello strato di fango, e forse è proprio questo che mi da la spinta a poggiare il primo piede sul ghiaccio, poi l’altro, poi un passo, poi un altro..ci sono! Sono sopra la vedretta! Sono le 10.40. “Ha toccato! il Mago è sbarcato sul ghiaccio!”, direbbe Tito Stagno..

Lo spettacolo della Vedretta del Careser, come mi si presenta alzando gli occhi
La sensazione è strana, unica. Sotto i piedi si sente un crepitio ad ogni passo, sotto la superficie ghiacciata si intravede scorrere l’acqua, come se fosse un pavimento trasparente. Si formano piccoli rivoli di acqua limpidissima che confluiscono insieme, e insieme, fino a scendere a valle, e tutti insieme formano il torrente che ho già oltrepassato. Guardo in alto, solo ghiaccio; a destra e a sinistra, ancora ghiaccio, poi le cime che fanno da contorno all’anfiteatro naturale della Vedretta del Careser. Non è difficile camminare su questo ghiaccio, non si scivola assolutamente, è..da provare.. Mi fermo un attimo, ho un po’ di fiato corto ma credo più per l’emozione che per la fatica, mi volto, ed ho già fatto almeno una cinquantina di metri senza essermene reso conto. Allora, passato il momento clou, faccio qualche foto e subito un video dove mi viene da mostrare e spiegare cose che in realtà non hanno bisogno di essere spiegate, ma che ci volete fare..


Continuo, davanti solo salita, ancora nient’altro. Il gps dice sempre dritto? Ok, non si discute, allora sempre dritto. Pian piano, continuando a salire, il ghiacciaio comincia a spianare, e d’un tratto vedo sbucare la punta rilucente sotto il sole di un altro palo d’alluminio: ecco la mia prossima destinazione. Proseguo, ogni tanto qualche passo fa scricchiolare un po’ di più il ghiaccio, di rado affondo un poco con il tallone, ma la sensazione non è mai di timore, di spavento. La superficie tutto sommato è compatta, anche nei punti dove i rivoli d’acqua affiorano così tanto da sembrare di averci le scarpe dentro. Nel frattempo, nonostante mi sia preventivamente coperto a maniche lunghe, guanti, occhiali, berretto e crema solare nei punti esposti, comincio a sentire una fastidiosa irritazione proprio sotto le narici, sembra che mi si stia seccando tutto improvvisamente. Possibile che, nonostante un po’ di nuvole, sia così potente l’effetto della rifrazione dei raggi sul bianco ghiaccio? Possibile o no, se non faccio qualcosa qui troveranno una mummia!











Un Mago euforico, in mezzo ai ghiacci, prima e dopo la "cura" anti-mummia..

Allora, arrivato al palo, butto lo zaino a terra, prendo la crema per le mani e me la metto bene bene, senza lesinare. Poi tiro su la bandana che ho sul collo, fino a coprirmi il naso. Ecco, ora sembro un bandito, un pirata, un eremita, quello che volete, ma quando mi rivedo in un autoscatto, sono davvero concio. Ancora foto e video, sono troppo felice. Un puntino nero in mezzo ad un mare bianco, silenzio assoluto intorno, racchiuso fra le alte cime tutte intorno, momenti indelebili stampati per sempre nella mia mente.

Riprendo il cammino, sono già a metà vedretta, e la pendenza ora è pressoché nulla, già dal questo palo si intravede la Bocca di Saènt, dove c’è un altro palo in legno, la fine del ghiacciaio e l’inizio della discesa in Val di Saènt. Passo dopo passo, sento un po’ di affanno, camminare a 3000mt nel ghiaccio, tutto coperto, e con ‘sti soliti 15kg sulle spalle, dai e dai qualcosa si sente.. Arrivo al tratto finale, vado verso la Bocca di Saènt ma adesso un manto di neve ricopre la parte superiore del ghiacciaio, non è spesso, saranno sui 10cm al massimo, ma sprofondandoci coi piedi, sono più che sufficienti per creare ancora più affanno. Intanto, vedo la figura di un uomo alla Bocca di Saènt, qualcuno che è salito dal rifugio Dorigoni. Eccomi infine poggiare il primo piede di nuovo sul terreno roccioso, finisce la traversata della Vedretta del Careser, durata circa 45min., sono le 11.30 circa, a poco più di 3100mt, con il fardello sulle spalle!

MagoZichele alla Bocca di Saènt
La Vedretta dalla Bocca di Saènt









Dalla Bocca di Saènt mi volto, e ora osservo la Vedretta del Careser in tutta la sua maestosità. E’ molto più grande di quello che pensavo, pensavo di esserci passato in mezzo e invece ero tutto spostato sulla destra. La cornice rocciosa che fa da roccaforte, con tutte le cime che sembrano torri..sembra quasi un castello naturale tutto intorno al ghiacciaio. Cima Lago Lungo, Cima Marmotta, le tre Cime Venezia, Punta Martello, Cima Rossa di Saènt, Cima Mezzena, Cima Campisol, e Cima Careser: un concatenamento fantastico! Lontano, dietro le prime cime della vedretta, perfettamente visibili nella giornata ancora abbastanza limpida nonostante le nuvole aumentino, i monti che nei quattro giorni precedenti ho ammirato con gli occhi in su: Monte Vioz, Palon de la Mare, e le Cime Cevedale. Mi volto di nuovo, e davanti a me un nuovo paesaggio: la Val di Saènt. Bella, verde, incastonata fra alte cime (di fronte a me l’inconfondibile Cima Sternai), puntellata di piccoli laghetti azzurri. Verso sud-est, si vede benissimo il Collecchio (2957mt), prossima destinazione di domani. Sotto di esso, la Val di Saènt precipita in un abisso verde, andando a formare le omonime cascate, preludio alla sottostante Val di Rabbi.

Un Mago, i suoi ghiacci...
Mi saluto con il signore che ho trovato alla Bocca di Saènt, non ne sono sicuro, ma potrebbe avere una settantina di anni. Mi dice che stamani alle 7.00 è partito dal parcheggio Fontanin, a 1400mt, ed è salito fin quassù, ben 1700mt di dislivello..ammazza.. Mentre converso con lui, tiro fuori subito il pannellino solare e metto in carica il gps, poi ci scattiamo a vicenda un po’ di foto, contempliamo i luoghi che ci circondano, infine ci salutiamo, lui riscende verso il rif. Dorigoni per il pranzo. Io invece non ho fretta, rimango ancora un po’ da solo qui, non tornerò così vicino ad ghiacciaio per un bel po’, dopotutto.. Ancora foto, mangio anche una barretta e acqua a volontà! Sento tutto insieme la stanchezza, ora che sono un po’ rilassato e la traversata è andata, comunque la soddisfazione è ai massimi livelli.








Panorami dalla Bocca di Saènt. In senso orario: la Val di Saènt, le Cime Cevedale, Punta Martello e Cima Rossa di Saènt, le Tre Cime Venezia











Inizio della discesa sentiero 104
Alle 12.12 riprendo in cammino, il signore mi ha detto che ci vorrà circa un’ora per arrivare al rifugio, in tempo per rispettare anche qui, come al rifugio Larcher, il rito della pasta al ragù. Ma le fatiche, quest’oggi, non sono ancora terminate! Il sentiero, dalla Bocca di Saènt, comincia in lieve discesa, un sentiero completamente roccioso che alterna detriti piccoli ad altri più grossi che impegnano al superamento di frequenti scaloni. Via via, però, la cosa che aumenta vertiginosamente è la pendenza, e pur affrontandola in discesa, è un martellamento continuo per i muscoli delle gambe ma soprattutto per i tibiali anteriori e per le ginocchia, impegnate a contenere la spinta che viene dallo zaino che ho sulle spalle. I bastoncini aiutano, ma con una discesa così anche loro fanno ben poco, lo stress c’è comunque. In un tratto il sentiero sembra anche peggiorare, pietre instabili intervallate sfasciumi di pietre miste a detriti, che quando appoggi il piede sembra vada giù tutto..un inferno di pietre rossicce. Ogni tanto do qualche sguardo alla vallata che si avvicina, alcuni laghetti sono molto caratteristici, con blocchi di neve ghiacciata che vi galleggiano dentro, come piccoli iceberg.











Nei laghetti d'alta quota si formano degli iceberg "bonsai"

La discesa prosegue rallentando il ritmo, se non voglio spaccarmi le gambe. Il Rifugio Dorigoni comincia ad essere in vista, placidamente adagiato su una larga cengia erbosa che domina la vallata sottostante solcata dal torrente Rabbies che si dirama in numerosi rivoli d’acqua cristallina. Ma è ancora dannatamente lontano, per adesso devo solo sperare che finisca prima possibile il terreno roccioso e comincino i prati, così almeno spero che il sentiero diventi meno instabile. Ed anche la pendenza diminuirà. Ma già da ora ritrovo nella mia mente la piacevole sensazione nell’osservare il posto che mi darà accoglienza, un posto dove dormire, e la consueta cortesia e spirito solidarizzante che si assapora sia fra gli ospiti, che con i gestori e il personale. Realizzo ancora una volta che così è tutta un’altra cosa, così il termine “rifugio” cambia valore, e lo si comprende e apprezza a fondo.











Una discesa insidiosa e dannatamente ripida!!

Mentre faccio queste considerazioni, nel frattempo sono arrivato in zone più pianeggianti ed erbose, l’ultimo tratto prima del rifugio. Arrivo alla confluenza con il sentiero n.101, che non riesco a vedere da nessuna parte, allora seguo la traccia gps costeggiando il torrente Rabbies finche non troverò il punto migliore per guadarlo. Infine arriverò al punto di doverlo guadare in un tratto dove è tutt’altro che placido, saltando da un masso all’altro, per imbeccare finalmente questo benedetto sentiero n.101. Ormai in vista del rifugio, faccio il classico autoscatto, poi, a circa 50mt dall’arrivo, vedo un uomo che, rivolto nella mia direzione, si alza di scatto da uno dei tavoli esterni, con le braccia alzate, ed urla ad alta voce: MAGO!! Le persone presenti si voltano incuriosite, per me è un arrivo trionfale! Uno spettacolo, venire omaggiati così a 2440mt!! Si tratta, incredibilmente (perche non ci eravamo dato di certo appuntamento..), della coppia con il labrador nero conosciuti il primo giorno e già incontrati nei pressi del rifugio Larcher. Anzi, sono Remo e Cinzia con il fido Argo! Un’altra coincidenza davvero insolita e piacevole.











Il Rifugio Dorigoni ancora lontano, poi finalmente l'arrivo!

MAGO !!!
Remo mi scatta una foto, mentre gli racconto dei due giorni passati al Larcher e dell’avventura dell’elisoccorso. Ovvia, a questo punto, anche una foto ricordo insieme a loro, con la promessa di passare a salutarli di nuovo al mio ritorno al campeggio di Peio. Remo, come sempre durante i nostri incontri, mi tiene anche aggiornato sull’evoluzione del bollettino meteorologico dei giorni a venire. Per domani ancora buono, per Domenica invece dovrò prepararmi al peggio. Per loro oggi una dura passeggiata dal Fontanin, passando dal sentiero diretto, quello più ripido, con passaggi su scalette che spezzano il fiato. Sono stanchi, e pronti per il meritato pranzo. Sono ancora una volta le 13.10, ormai il mio orario d’arrivo ai rifugi sembra sincronizzato. Li saluto, e con loro saluto volentieri anche il signore trovato alla Bocca di Saènt.

Un incontro inaspettato! Ecco la foto con Remo e Cinzia (Argo sonnecchia sotto il tavolo..)
Quindi mi faccio accompagnare in camerata, dove sistemo la mia roba, faccio subito un po’ di bucato (l’ultimo di questa lunga Alta Via, da domani stop ai bucati), infine mi siedo nell’accogliente salone dove ordino il piatto di pasta di rito, seguito da un buonissimo strudel. Chiedo di Cecilia, ogni tanto arriva qualche ragazza nuova, ma nessuna di loro è Cecilia. Ci siamo sentiti spesso per e-mail, prima della mia partenza per questo tour; a lei ho rivolto mille domande sulla vedretta del Careser, su come andasse affrontata, ed ho sempre trovato in lei una persona disponibilissima a qualunque chiarimento. E’ sicuramente grazie alle sue indicazioni, se mi sono reso conto che questo ghiacciaio l’avrei attraversato senza troppi problemi. La cercherò in serata. Dopo il pranzo, telefono ad Alessandra con il telefono del rifugio (anche qui segnale zero), per comunicargli la riuscita della tappa odierna. Mi domanda come mai sprechi tutti i pomeriggi ai rifugi, quando potrei camminare dell’altro e finire prima l’Alta Via. Come spiegargli della fatica accumulata finora, e del fatto che spesso, (anche questo pomeriggio la storia si ripete puntualmente) i pomeriggi il tempo si guasta sempre minacciando pioggia? E poi, senza vantarmene troppo, sarà che anch’io ho un buon passo??











Il Rifugio Silvio Dorigoni, e un Mago anche oggi soddisfatto..

Dopo la telefonata, vado un po’ fuori, davanti il rifugio, in osservazione. Ecco qualche schizzo di pioggia, sarà il caso di togliere il bucato dallo stendino esterno? Mentre mi avvio verso i miei vestiti, vedo arrivare al rifugio la coppia di tedeschi che avevo lasciato stamani al rifugio Larcher. Ce l’hanno fatta, anche loro hanno attraversato il ghiacciaio! Ma la donna mi sembra visibilmente stanca, come mi confermerà poi in una nostra breve conversazione. Dalla stanchezza, non ricorda più nemmeno dove proseguiranno domani, lo chiede al suo compagno, e la risposta è piacevolmente illuminante: Rifugio Stella Alpina al Lago Corvo! Ancora una tappa in comune, dunque! Li saluto, e mi dedico alle mie cose.











Le croci sulle vette del Collecchio (2957mt) e della Cima Sternai (3443mt)

Sistemati i miei vestiti ad asciugare nell’anticamera dell’ingresso, visto che fuori pioviscola, mi ritiro un po’ in camerata per scrivere un po’ di memorie odierne. Il Rifugio Dorigoni, benché più piccolo del Larcher, è molto carino e con la corrente fissa nelle camerate, visto che è in dotazione un generatore di corrente autonomo collegato ad una turbina idroelettrica. Così sarà più semplice ricaricare tutti gli aggeggi elettronici del Mago. Le camerate, di recente ristrutturazione, hanno tutte i nomi dei sette nani, io sono nella camerata Gongolo, la più in alto, in mansarda, dove si accede da una breve scalinata, ma che senza porta, e subito sopra l’ingresso dei bagni (dotati di asciugacapelli!!), promette una nottata con frequenti risvegli per il viavai notturno dei “rifugiati”.

 Esce un po’ di sole verso le 16.00, allora esco per un po’ di foto tutto intorno. La vallata ai piedi del rifugio è davvero molto bella, inviterebbe a stare lì impalati ad osservarla per ore. Il verde dei prati è davvero intenso, il torrente Rabbies che si dirama in una ragnatela di ruscelli, ed intorno salgono i rilievi ad incastrare tutto questo verde: La Cima Rossa di Saènt, Il Collecchio, e soprattutto la Cima Sternai. Deve essere deliziosa la valletta antistante con i suoi laghetti.. Verso le 18, approfittando dei phon, è l’ora di una bella doccia, che seppur a gettone, si rivela una toccasana per togliere un po’ di stanchezza addosso e recuperare energie. Comunque, farsi la doccia al rifugio Dorigoni, è stata un’impresa. Sarà che finora ero abituato a pochi ospiti, la sera nei rifugi, ma stasera ci saranno almeno 30 persone che vi pernotteranno, quindi la fila per la doccia era considerevole. Probabilmente, penso, durante la settimana le persone che dormono nei rifugi sono in numero minore, mentre oggi che è venerdì, cominciano ad arrivare la gente che ha programmato un’uscita di 2-3 giorni per il weekend. Mentre faccio la fila, conosco una coppia di fidanzati che per l’indomani hanno in programma la salita alla Cima Sternai. “E voi dove andate?” _mi domanda lui_ “Mi dai del Voi?” _rispondo io ridendo_.. eh sì, non sono davvero così frequenti i tipi che girano in solitaria.. Dopo la doccia, torno di nuovo fuori per una decina di minuti prima della cena, è tornato il sole e adesso, alle 18.30, la luce crea una cornice di colori unica.









L'imponente massiccio della Cima Sternai e il dedalo di rivoli del Torrente Rabbies che taglia la piana erbosa sotto il rifugio

Durante la cena (ottima, soprattutto i canederli ripieni, ne avrei mangiato un vagone..), in mezzo al fragore della salone pieno di gente, conosco Alberto, seduto al mio fianco, un altro lupo solitario di Riva del Garda, un tipo molto tranquillo e riservato. Ci metto un po’ per attaccare bottone, non è molto loquace inizialmente, poi, pian piano, comincia a cedere alle cazzate che ogni tanto sparo. E’ un grande appassionato di laghetti d’alta quota e in generale dei sentieri e bivacchi al di fuori delle normali rotte generalmente affollate. E’ anche bravo nello scattare foto, da quello che mi ha fatto vedere. Con lui mi trattengo anche dopo cena, la conversazione è piacevole e ovviamente tratta il tema della montagna, il nostro preferito! Salta fuori che frequentiamo lo stesso forum (girovagandoinmontagna) e che probabilmente si è imbattuto in qualche mia discussione, quando allora chiedevo info sullo stato e fattibilità di alcuni sentieri. Lui domattina andrà ai laghetti Sternai, a scattare altre belle foto a flora e fauna locale, poi riscenderà costeggiando dall’alto la Val di Saènt, in direzione del Baito Campisol e di altri solitari bivacchi.










Veduta dal terrazzo antistante il rifugio, e ancora la vallata con i colori del tardo pomeriggio

Vedo finalmente Cecilia, ma essendo impegnata a dialogare tutta la sera con un gruppo di persone in divisa (forse finanzieri?), non la vado certo a scocciare, la saluterò domattina durante la colazione. Fuori ricomincia un po’ a piovere, ed è anche un po’ freddino, la serata invita tutti a starsene al calduccio dentro il rifugio, poi, dopo le ultime chiacchiere, quando arriva un po’ di stanchezza, MagoZichele si ritira in camerata. Nella grande camerata Gongolo, dove ci saranno almeno 20 letti, siamo solamente in quattro: io, Alberto, e una coppia di fidanzati. Il piano di sotto invece è stracolmo di persone, suddivise nelle altre camerate. Dopo aver riordinato un po’ di cose per la ripartenza di domani, mi infilo nel sacco lenzuolo dove non fatico a prendere sonno. Domani mi aspettano i panorami della Val d’Ultimo e dei Laghetti Corvo, l’Alta Via del Mago è sempre più in discesa.. 
MagoZichele


2 commenti:

  1. Bravo Mago, devo dire che la descrizione della tua esplorazione é così coinvolgente che dopo la lettura m'è presa una fiacca alle gambe che non hai idea!

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